Solitudine e vergogna nella bulimia: parliamone insieme
Nella letteratura clinica così come nei convegni si tende a dare molto spazio all’anoressia e ci si sofferma in misura minore su un altro importante disturbo del comportamento alimentare: la bulimia. Vi sono importanti aspetti che caratterizzano questo disturbo e che è fondamentale non trascurare: solitudine e vergogna. Ma che cos’è la bulimia?
Aspetti fenomenologici
Nella bulimia ci troviamo di fronte ad episodi ricorrenti di abbuffate che consistono nel mangiare una quantità di cibo, in un ridotto intervallo di tempo, decisamente superiore alla media. Questi sono, generalmente, accompagnati dalla sensazione di perdita di controllo sul cibo durante l’episodio. Possiamo inoltre osservare come i soggetti che soffrono di questo disturbo pongano in atto frequenti condotte inappropriate di compensazione per prevenire l’aumento ponderale, l’incremento del peso. Fra queste notiamo come il vomito autoindotto sia la pratica più comune e diffusa, nonostante non consenta, comunque, di eliminare tutto quanto è stato introiettato.
Aspetti psicologici: solitudine e vergogna
La bulimia è un disturbo enigmatico, paradossale, ricco di contraddizioni e più subdolo dell’anoressia. Anzitutto possiamo notare che l’anoressia “si vede a occhio” ovvero che il corpo segnato dal disturbo anoressico è un corpo ben riconoscibile, emaciato, consunto, “pelle e ossa” non solo in senso letterale, un corpo che angoscia chi lo guarda. Il corpo del soggetto bulimico non è altrettanto visibile, in mostra, ben riconoscibile, ma anzi, nulla nell’aspetto esteriore rimanda alle forti emozioni che si provano dinnanzi ad un corpo anoressico, eppure è anch’esso un corpo estremamente sofferente, basti pensare che mangiare fino a scoppiare e subito dopo vomitare, magari ripetendo questo circuito quattro/cinque volte al giorno può ben dare l’idea della devastazione che porta con sé questo sintomo.
Le abbuffate portano il soggetto a ingurgitare voracemente e senza alcun controllo qualsiasi cosa gli si presenti davanti, dolce, salato e persino surgelato.
Il soggetto struttura la propria giornata intorno all’abbuffata e all’eliminazione di quando ha mangiato in quanto il pensiero ricorrente, ossessivo e pervasivo, che abita la sua mente è il cibo.
In seduta le persone sottolineano spesso come questi comportamenti vengano messi in atto nella più completa solitudine per la vergogna che provano nella perdita totale di controllo, per il senso di colpa provato, per la consapevolezza che si stanno facendo del male, ma ugualmente non riescono a fermarsi.
Provocarsi il vomito, anche quando diventa una pratica abituale, stressa profondamente il corpo, è doloroso ed estenuante, a lungo andare, anche per la psiche.
Le conseguenze sull’aspetto relazionale sono facilmente intuibili, da un lato la famiglia viene, generalmente, tenuta all’oscuro di tutto, così anche gli amici che pian piano non vengono più frequentati e tutto questo concorre a gettare il soggetto in una solitudine ancora maggiore dove vive nella segretezza, mostrandosi quotidianamente con una maschera sul volto per evitare che qualcuno possa scoprirlo. Tutto questo isolamento, in diversi casi, aumenta sempre più e può trascinare la persona verso stati depressivi importanti che aumentano l’utilizzo del cibo quale strumento compensatorio andando così ad appesantire una situazione già critica, in cui, per di più, tutto questo viene mantenuto segreto e vissuto in solitudine.
A quali segnali fare attenzione?
Anzitutto è importante differenziare l’abbuffata dal “semplice” mangiare tanto. Nel primo caso la persona ingoia, non sta mangiando, non assapora ciò che introietta e ingurgita un quantitativo di alimenti significativamente maggiore di qualsiasi persona di “buona forchetta”, per di più in un lasso di tempo estremamente breve, siamo davanti ad una frenesia alimentare. Nel secondo caso ci troviamo dinnanzi ad un comportamento sovrabbondante magari legato ad una particolare festività o alla prelibatezza della pietanza in un soggetto che ama mangiare e che riesce a gustare ciò che ha nel piatto.
Un altro elemento a cui fare attenzione è legato all’autostima eccessivamente influenzata dalle forme corporee e dal peso, dove, come nel caso precedente, ciò che fa da indicatore è l’eccesso e la rigidità. Sicuramente avere delle belle forme ed un peso che sia soddisfacente è qualcosa che può far piacere e nutrire il nostro narcisismo, l’immagine che abbiamo di noi stessi, ma altra cosa è far dipendere il nostro valore dal numero che ci restituisce la bilancia.
Questo particolare disturbo si può manifestare con condotte di eliminazione come il vomito autoindotto, l’utilizzo di diuretici o lassativi oppure senza condotte di eliminazione dove, quindi, il soggetto utilizzerà il digiuno e l’esercizio fisico per diminuire il suo peso. Anche in questo caso ciò che può mettere in allerta non è l’inizio di un’attività fisica in se stessa, quanto l’ossessività della stessa, quando questa diventa eccessiva e non rientra più in un registro di benessere, ma in quello del dovere che perde ogni nota di piacere.
Cosa fare se si nota qualcosa di strano in un familiare o se ci si riconosce in questi sintomi?
Non aspettare che “il momento passi da solo”, lasciare la porta aperta al dialogo, cercare di parlarne per provare a fare un po’ di chiarezza e, appena possibile, rivolgersi ad uno specialista senza paura o vergogna per un consulto. Meglio occuparsi per tempo di una problematica ancora embrionale che di un disturbo strutturato e tenace. È molto probabile vi sia una logica anche in un comportamento come quello sopra descritto, non vi è alcun motivo di vergognarsi della propria sofferenza. È invece importante poterla decifrare per riuscire a stare meglio e trovare/costruire strategie migliori per far fronte a ciò che sottende al sintomo.
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