Bulimia abuso trauma: quale legame?
Nel presente articolo toccheremo tre importanti argomenti fra loro collegati: bulimia, abuso, trauma.
Si parla spesso di anoressia e di obesità, meno di bulimia, come mai? Il corpo della persona anoressica o obesa è molto evidente, non passa inosservato, mentre il corpo bulimico è, tendenzialmente, normopeso. Forse che questo corpo faccia meno paura dagli altri due?
Chi colpisce la bulimia? Due note sulla bulimia e logica contemporanea
La bulimia appare come il sintomo che maggiormente risponde al discorso sociale contemporaneo di accumulazione di oggetti, di consumo e veloce smaltimento dell’oggetto consumato per poi passare ad acquistarne uno nuovo. Le persone che ne soffrono sembrano comportarsi con il cibo seguendo la medesima logica: consumano senza freni, senza limiti, per poi sbarazzarsi di quanto ingurgitato.
Come insorge la bulimia?
Le ragazze, ma sempre più frequentemente anche i ragazzi e le donne adulte, generalmente iniziano con una semplice dieta che prende poi le forme di un eccesso di controllo e restrizione alimentare (per un approfondimento mi permetto di rimandare all’articolo “La dieta mi è sfuggita di mano. Donne e magrezza.“) sul cibo assunto fino a ritrovarsi in una condizione di anoressia restrittiva dove, nei casi più gravi, il soggetto si limita a cibarsi giornalmente di un solo piatto di insalata, acqua e caffè. Questo regime è estremamente difficile da mantenere in quanto la persona che soffre di anoressia sente lo stimolo della fame come tutti gli esseri viventi e, andare contro natura richiede uno sforzo enorme, sia fisico sia mentale. Ad un certo punto questa tipologia di condotta diviene insostenibile e la persona comincia a mangiare, ingurgitando, senza poterlo assaporare in alcun modo, qualsiasi cosa commestibile incontri sul suo cammino. Nei casi più gravi vengono ingoiati anche i surgelati appena estratti dal freezer senza una preliminare cottura. Questo comportamento alimentare porterebbe a un aumento ponderale significativo se protratto a lungo ed è così che inizia la pratica di tutte quelle metodologie che consentono al soggetto di smaltire il cibo ingerito: vomito ricorrente, fino a 20-30 volte al giorno, aumento dell’attività fisica, uso e abuso di lassativi e diuretici, … .
Sono bulimica… ma non di cibo
Quando parliamo di bulimia facciamo quasi sempre riferimento ad un particolare rapporto che il soggetto intrattiene con il cibo, ma, a ben guardare, è possibile osservare come questa tipologia di comportamento venga attuato nei confronti di altri oggetti o delle relazioni interpersonali, ovvero esuli dal contesto nutrizionale. Un soggetto può avere comportamenti bulimiciformi senza avere una dipendenza dal cibo, ma limitando questa sua modalità di azione ad un determinato oggetto.
Si parla invece di bulimia multicompulsiva quando ci troviamo dinnanzi ad una persona con un disturbo alimentare di tipo bulimico e una compulsione che non resta confinata al cibo ma sconfina, ad esempio, sull’alcool o su sostanze stupefacenti, … .
L’esperienza di abuso nella bulimia
La clinica della bulimia mostra frequentemente la presenza di esperienze di abuso, singole o ripetute, subite in passato da parte del soggetto che domanda aiuto e ascolto ad uno psicoterapeuta.
L’abuso non si gioca necessariamente sul corpo, ma prende anche altre forme: il bullismo verbale o via social, la trascuratezza fisica ed emotiva, l’intimidazione psicologica, l’ambivalenza dei messaggi, …. Possiamo quindi osservare come anche le parole se non dosate (consiglio di consultare il Mini Books “Le parole hanno un peso. Cosa non dire a chi soffre di DCA”), non misurate, ma confondenti o ambigue possono essere vissute come abusi e portare ad un trauma.
Il rapporto fra trauma e bulimia
Spesso l’abuso si accompagna al silenzio, alla solitudine, alla mancanza di ascolto da parte delle persone di riferimento e, proprio per questo, ciò che fa trauma, paradossalmente, può non essere tanto l’abuso, quanto la mancata comprensione di ciò che è successo, l’impossibilità di leggere i sentimenti dell’adulto abusante, di mettere in parola e di elaborare, da parte del bambino, quanto ha vissuto (e di cui spesso si incolpa).
La bulimia può quindi configurarsi come una modalità per gestire questo trauma (anche se il sintomo da solo non basta a fare da argine a tutto questo), in cui il corpo si fa scarto nella convinzione che, come affermava una mia paziente, “se proprio devo subire un maltrattamento, almeno è meglio che scelga io la modalità infliggendomelo da me medesima”. Le persone si fanno oggetto scarto così come si sono sentite in passato nelle mani dell’altro.
Un soggetto che si confronta con un trauma di questa natura può avere delle difficoltà a pensare al suo futuro, a vivere il suo presente, e, anche in questo aspetto, ritroviamo una delle possibili difficoltà del persone bulimiche a chiedere uno sostegno psicologico. Chiedere aiuto significherebbe proiettarsi sul futuro e non sempre questo passaggio è così facile, richiede del tempo, un tempo di maturazione.
Autolesionismo e sofferenza psichica
La clinica evidenzia, inoltre, frequenti condotte autolesionistiche dei soggetti affetti da bulimia, ma come leggere questo fenomeno? Questa pratica viene spesso portata avanti non per il desiderio di infliggersi dolore, ma per spegnere, momentaneamente, la sofferenza psichica che sovrasta il grado di tollerabilità.
Lo spazio psicoterapico psicoanalitico
Il luogo della psicoterapia psicoanalitica è uno spazio, non solo fisico, ma anche mentale, dove la persona può parlare al terapeuta di questo trauma, del proprio vissuto, della rabbia per non essere stata protetta prima e ascoltata poi da coloro che le erano più vicini. Il luogo terapeutico può consentire di rilanciare così sul futuro uscendo da quella cristallizzazione nel passato che non vivifica, ma mortifera.
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