Disagio psicologico post quarantena. Affrontarlo e superarlo, non evitarlo e nascondersi

È iniziata la cosiddetta fase due e, con essa, pian piano, emergerà anche il disagio psicologico. È ormai evidente da più parti che sintomi afferenti ad un disturbo post traumatico da stress, timismo deflesso, ovvero un basso tono dell’umore, rabbia, frustrazione e insonnia caratterizzeranno il prossimo futuro di tanti italiani.

Nuova “normalità” tutta da costruire

Ci troveremo a dover coltivare e costruire una nuova modalità di stare con gli altri, adottare una “vicinanza distante” che consenta quella separazione per prevenire il contagio e la circolazione del Coronavirus, ma che, allo stesso tempo, possa tenere unite le persone dal momento che gli esseri umani sono esseri sociali, ma, allo stesso tempo, responsabili anche degli altri.

Fase due: occuparsi della propria salute psicologica

Maggio 2020: inizia la fase due. Finalmente alcune restrizioni vengono allentate e aumentano, pian piano, le libertà.
Il momento di abbassare la guardia arriverà, ma non è oggi, è fondamentale ancora prestare attenzione per prevenire la diffusione del Coronavirus, ma, soprattutto, ritengo sia utile iniziare a occuparsi con attenzione della nostra salute psicologica.
Ciascuno di noi ha assistito, in queste settimane, al crescere dei contagi, all’aumento del numero delle vittime, i camion dell’esercito che portavano via le salme, le terapie intensive degli ospedali piene, e l’economia in ginocchio con la conseguente, e naturale, crescita di ansia e angoscia. Tutto questo lascia, inevitabilmente, traccia dentro ciascuno di noi. Non dobbiamo pensare che ciò impatti solo sui professionisti sanitari in prima linea nell’emergenza. Anche gli italiani, costretti a stare in casa, a non poter incontrare parenti e amici, a non poter aprire il loro negozio, a non potersi recare al lavoro, tutto questo, e molto altro, andrà elaborato, affrontato e superato.
Gli effetti sulla salute psicofisica di questa pandemia possono essere davvero gravi e non vanno sottovalutati, anche perché potrebbero manifestarsi a distanza di tempo. Questa emergenza sanitaria che stiamo vivendo è, senza dubbio, un evento stressante, con diversi livelli di intensità, nella vita di ciascuno. È però fondamentale, a mio personale modo di vedere, che tale evento stressante non divenga un “disastro psicologico”, ovvero la base di un disturbo più strutturato. Superare tutto questo sarà difficile e complicato, richiederà impegno e pazienza, tempo, ma è assolutamente possibile.

Possibili sintomi di un disagio psicologico

I disagi che potremmo accusare e che verrebbero ad indicarci un disagio psicologico in essere comprendono un abbassamento del tono dell’umore, un incremento del livello di ansia, episodi di insonnia, una maggiore irritabilità, disturbi afferenti la concentrazione e l’attenzione. Tali manifestazioni che, ribadisco, potrebbero affiorare anche svariate settimane dopo la conclusione dell’isolamento sono destinati, nella maggior parte dei casi, a diminuire, ma ciò non significa che il soggetto non se ne debba occupare, soprattutto coloro i quali si sentono più vulnerabili e sanno di avere una maggiore sensibilità all’ansia o alla depressione. I comportamenti di evitamento, di luoghi o di persone, e di controllo, l’ansia da contagio, l’attento lavaggio delle mani, abiteranno le nostre menti ancora per un po’ di tempo dopo la fine della quarantena, ma è naturale che ciò avvenga e dobbiamo concederci il tempo perché queste innate misure preventive diminuiscano.

Uscire di casa: fra desiderio e paura

Ci troveremo di fronte ad un paradosso in queste prime giornate di maggio legato al desiderio di uscire e al timone di farlo.
Nei giorni passati abbiamo assistito all’abbassamento della curva dei contagi e dei defunti, ma già percepiamo, come psicologi, l’innalzamento della curva del disagio psicologico. La pratica clinica mostra, infatti, come, in queste settimane, diverse persone abbiamo sviluppato disturbi d’ansia e post traumatici (dati confermati anche da numerose ricerche). Quando si ricomincerà ad uscire è possibile che stress e ansia aumenteranno, ricomincerà la paura del contagio (essere contagiati e contagiare). Si tratta di un fenomeno normale. La casa, inizialmente sentita come prigione, si è tramutata con il tempo in rifugio sicuro.

Vecchia o nuova “normalità”?

La quarantena ci ha consentito di sviluppare nuove abitudini, nuove consuetudini, alle quali ci siamo abituati e, tornare alla “normalità”, non sarà così facile per tutti. Tornare a quale normalità però? Cos’è la normalità per ciascuno di noi? Siamo sicuri di voler tornare alla passata normalità invece che cogliere l’occasione di costruire una nuova realtà?
Questa condizione che stiamo vivendo, giorno dopo giorno, ritengo possa configurarsi come una splendida opportunità per ri-costruire, per creare qualcosa di nuovo più vicino ai nostri desideri, a come ci siamo sempre immaginati la nostra vita. Il futuro che abbiamo davanti è tutto costruibile e potrà essere molto diverso dal precedente, dipende da noi.

La “personale fase due”: un’occasione di cambiamento

Personalmente ritengo che, in questa nuova fase che ci approcciamo a vivere – intendo più che “fase due istituzionale” una “fase due personale” – sia importante non opporci al cambiamento che, inevitabilmente, arriverà, sognando che tutto ritorni come prima. Il “come prima” è, per definizione, passato, quindi è impossibile tornarvi. Potrebbe quindi essere arrivata l’occasione di utilizzare questo periodo nuovo, dove viviamo una nuova routine, per costruire il nostro personale cambiamento, il nostro personale futuro.

L’importanza di chiedere aiuto per affrontare e superare il disagio psicologico

Il punto che mi impensierisce di più come clinico riguarda il fatto che svariate persone, pur trovandosi a vivere un disagio psicologico, non si rivolgeranno agli psicoterapeuti per cercare aiuto e sostegno, dal momento che è ancora presente uno stigma sociale attorno a chi si reca da questi specialisti.
Il mio timore è che, se verrà sottovalutata dalle persone, ma anche dalle istituzioni, la dimensione psicologica di quanto accaduto, osserveremo un incremento esponenziale della sofferenza psicologica e l’illusorio utilizzo della farmacologia quale panacea di tutti i mali. Incrementerà esponenzialmente l’utilizzo e l’abuso di farmaci ansiolitici e antidepressivi per gestire l’acuzie, il picco ansiogeno o depressivo, senza però risolvere la questione atteso che il farmaco da solo non è sufficiente all’elaborazione del vissuto emotivo e al suo superamento. Sarà fondamentale, in questo frangente, la collaborazione fra medici di base e psicoterapeuti affinché vi sia un’attenta valutazione dello stato clinico del paziente e delle risorse che lo stesso può mettere in campo così da consentirgli di poter risolvere (mediante la psicoterapia) e non solo tamponare (mediante la farmacologia) la situazione di disagio psicologico che si trova a vivere.
A maggior ragione diviene importante tale sottolineatura per quei soggetti più esposti (medici, infermieri, operatori del 118, etc), impegnati in prima linea a fronteggiare il Covid-19 e che si trovano a vivere un doppio stress, in famiglia perché non possono avvicinarsi ai loro cari e abbracciare i figli, lavorativo perché quotidianamente a contatto con il Coronavirus, affinché possano concedersi il tempo di farsi aiutare e supportare nella gestione di tutto questo carico emotivo.
Tutte le recenti ricerche commissionate dal Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi mostrano come 8 italiani su 10 ritengano sia fondamentale l’aiuto degli psicologi per affrontare la fase due, pertanto, non abbiate paura di chiedere aiuto se vi sentite in difficoltà. Chiedere aiuto è sinonimo di maturità, non di debolezza. In psicoterapia non vanno i “deboli” e gli “immaturi”, ma i “forti” e i “responsabili” che vogliono affrontare e superare le proprie difficoltà.

 

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Dott.ssa Valentina Carretta