Il segno dell’amore dell’Altro. Anoressia nel lattante e nella prima infanzia
I disturbi del comportamento alimentare osservabili nel lattante e nella prima infanzia mettono in evidenza, con maggiore chiarezza rispetto a quelli osservabili nelle successive fasi evolutive, una particolare dinamica fra bisogno di cibo e domanda d’amore. L’infante sembra riuscire più efficacemente a sottolineare la necessità che l’adulto non confonda i piani del soddisfacimento della fame di cibo, con quello della fame d’amore. In diversi casi, laddove colui che si prende cura del piccolo risponde all’appello di questo mediante l’offerta della sola pappa (talvolta con un’insistenza eccessiva e asfissiante), confondendo quindi questo registro con quello del dono del suo amore, è possibile osservare come il bambino risponda a questo serrando la bocca, rifiutandosi di mangiare (per un piccolo approfondimento sul tema si rimanda al breve articolo Fame di cibo e fame di amore: bisogno e desiderio nel pianto del bambino).
Anoressia e domanda d’amore
L’anoressia nel lattante va al cuore della domanda d’amore in quanto, laddove il piccolo percepisce un eccesso nelle cure, nell’insistenza con cui gli viene proposto il cibo, senza che vi sia un possibile spazio per la sua domanda, è possibile che risponda con un “no”, ovvero rifiutando il latte, per significare che ciò che lui domanda, ciò che lui, come soggetto, desidera, va al di là di un bisogno fisiologico da soddisfare.
L’incontro con un Altro delle cure asfissiante può non facilitare l’emersione nel neonato della sua soggettività e, se un atteggiamento fusionale madre-bambino è assolutamente necessario in un tratto della vita – atteggiamento che Donald W. Winnicott (1896-1971), pediatra e psicoanalista inglese, chiama “preoccupazione materna primaria”, ovvero quella condizione che permette alla madre di identificarsi con il neonato e di rispondere ai suoi bisogni – rischia di diventare dannoso, poiché eccessivo e inopportuno, se protratto oltre il tempo necessario. È, pertanto, fondamentale che, ad un certo punto, venga introdotta una separazione, un “no” che permetta al lattante di esistere come soggetto separato dalla madre. Tale separazione, tale cesura è, generalmente, operata dal padre o dalla persona che incarna la funzione paterna (per un piccolo approfondimento sul tema si rimanda al breve articolo “Forza figliolo andiamo” Due note sulla funzione paterna).
La domanda del segno e della parola dell’Altro
La pratica clinica, infatti, ben mette in luce come il bambino non domandi un oggetto di soddisfacimento, ma il segno dell’amore dell’Altro nei suoi confronti, la parola dell’Altro. La sua è una domanda d’amore. Il “no” del lattante si può quindi configurare come un rifiuto dell’eccesso, di un troppo, di cure materiali, un rifiuto di quanto viene offerto senza che vi sia un legame e un interesse particolareggiato, in funzione di un appello al desiderio.
Molto significativo, a tale proposito, quanto analizzato dallo psicoanalista austriaco naturalizzato statunitense René A. Spitz che, tra il 1945 e il 1946, osservò un centinaio di neonati abbandonati e ricoverati in un brefotrofio. Questi venivano adeguatamente nutriti e curati, da un punto di vista igienico sanitario, da operatrici professioniste appositamente formate, ma nonostante ciò, presentavano diversi sintomi fra cui crescita irregolare, inespressività del volto, crisi di pianto, marcato abbassamento delle difese immunitarie e, diversi di loro, morivano entro il secondo anno di vita. Lo psicoanalista, osservando questo fenomeno, si accorse del fatto che il bambino non necessita solamente delle cure materiali, ma anche, e soprattutto, di sorrisi, di carezze, di parole, di amore, del segno della sua particolarità, del segno del desiderio dell’Altro verso di lui. Se questo viene a mancare, se queste cure non sono accompagnate dall’amore, il bambino, anche se perfettamente assistito nella nutrizione e nella pulizia, ma trattato in modo impersonale, nei casi più gravi di deprivazione, rischia di sentirsi talmente abbandonato e smarrito da lasciarsi morire.
Osservano nella quotidianità i neonati, ad esempio, è possibile notare come, anche se l’Altro delle cure risponde con solerzia, somministrando cure e cibo, la domanda del bambino non cessi, non venga mai comunque meno. Questo perché ci troviamo dinnanzi ad un desiderio, per sua natura, incolmabile e non saturabile con un oggetto.
L’inesauribilità di tale domanda è legata al particolare registro sul quale essa si pone, infatti, come afferma Jacques Lacan, psicoanalista francese, è opportuno tenere sempre presente che “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”.
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