“Ascoltiamoci” La comunicazione medico-paziente e paziente-medico

“Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umano” (Paulo Coelho)

Non è infrequente ascoltare persone che lamentano di non sentirsi ascoltate dagli specialisti, di essere trattate in modo anonimo e secondo protocolli standard, essendo viste solamente per la loro malattia e non per i soggetti che esse sono, al di là dei sintomi.

Tale notazione è preziosa, rivela un appello non solamente al sapere, ma, innanzitutto, allo “sguardo dell’essere umano” e può valere sia per un paziente che si rivolge ad un medico, sia per un medico che, solo, giorno dopo giorno, si confronta con il dolore dell’altro e il limite di ciò che lui e la medicina possono fare.

L’incontro fra il paziente e lo specialista

Non tutti i soggetti assumono la stessa posizione avanti al medico, alcuni cercano di interloquire con lo specialista parlando delle proprie aspettative, dei propri dubbi e difficoltà, altri riversano su di lui tutta la loro rabbia per questa condizione di malattia, altri ancora assumono una posizione di passività, salvo poi lamentarsi appena terminato il colloquio per la mancanza di coinvolgimento.

Se i pazienti lamentano un generale sentimento di trascuratezza e di mancanza di adeguate e comprensibili spiegazioni per gli esami strumentali effettuali o le visite alle quali si sono sottoposti, viene da interrogarsi, da un lato, circa le capacità di ascolto e di dialogo di alcuni professionisti e, dall’altro, circa le effettive capacità del paziente di chiedere e di parlare apertamente della propria sofferenza anche al di là del sintomo.

La responsabilità del paziente e del medico

La responsabilità di quanto avviene nello Studio o nell’Ambulatorio è di entrambi i soggetti coinvolti, ciascuno a partire dalla propria posizione. Lo specialista detiene un sapere generale su specifiche patologie, il paziente detiene un sapere particolare sulla propria sofferenza. Risulta quindi fondamentale che questi due saperi possano essere messi in campo e utilizzati come preziose risorse.

Il percorso di cura dovrebbe coinvolgere il soggetto nella sua interezza e questo processo potrebbe essere facilitato dall’ascolto e dal dialogo reciproco. Non è infatti mai raccomandabile una delega totale allo specialista e un’adesione completa, ma passiva, alle indicazioni terapeutiche laddove vi siano importanti dubbi e perplessità irrisolte. Il lavoro medico (ma questo può valere anche in altri contesti non sanitari) richiede una partecipazione attiva da parte di entrambi i soggetti perché insieme si possa arrivare a definire e co-costruire la soluzione migliore per quel determinato paziente.

La difficoltà e la solitudine del medico

Gli specialisti nella società contemporanea attraversano un momento di maggiore difficoltà rispetto al passato, basti pensare al fatto che questi si trovano, sempre con maggiore frequenza, a fare i conti con procedimenti legali a loro carico intentati, a ragione o meno, dai clienti. Internet, dottor Google, apparentemente, permette un facile accesso al sapere (medico, psicologico, legale, economico…) e spesso viene consultato, approfondito e studiato dalle persone che prendono per certo e vero quanto vi leggono arrivando persino a dubitare dello specialista (il dubbio si insinua con maggiore facilità laddove già vi sia un terreno fertile alimentato da difficoltà comunicative e relazionali fra le parti). In alcuni casi questi dubbi, insorti dalle letture sui media, vengono riportati in Studio o in Ambulatorio e fugati dal medico che accoglie i timori, le ansie e le preoccupazioni dei singoli e delle loro famiglie e restituisce la possibilità di una co-costruzione del percorso terapeutico. In altri casi questo dialogo non avviene aumentando ansie, senso di sfiducia e determinando, come dimostrato da diversi studi scientifici, un’interruzione delle terapie o una bassa risposta alle stesse.

Implicazioni cliniche sulla qualità della vita di una buona comunicazione medico-paziente

Vi sono ormai numerosi e importanti studi scientifici che sottolineano come una buona comunicazione medico-paziente sia estremamente importante nella gestione della malattia, in particolare delle patologie croniche (es. diabete, ipertensione, coronaropatie, malattie oncologiche, insufficienza cardiaca, malattie autoimmuni …) che vedono sempre più affiancarsi all’uno e all’altro lo psicologo per sostenerli nel lavoro, tuttavia questo processo è a doppio senso, dal medico verso il paziente e dal paziente verso il medico che, a sua volta, è un soggetto con le sue preoccupazioni e le sue ansie personali legate alle situazioni cliniche che segue.

Una comunicazione e una relazione efficace fra medico e paziente e fra paziente e medico può configurarsi come un importante strumento terapeutico, ma soprattutto di prevenzione.

Dott.ssa Valentina Carretta