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Psicologa Psicoterapeuta - Specialista in Psicoterapia Psicoanalitica - Scuola Lacaniana di Psicoanalisi

bulimia nervosaDefinizione di bulimia nervosa

I disturbi alimentari sono malattie dell’amore, patologie che hanno a che fare con un’anima che soffre e non “semplici” disturbi dell’appetito, anche se il termine “bulimia” deriva dal greco bous, bue elimos (fame da bue, enorme, smisurata).

Quale può essere il significato della bulimia

La persona bulimica è un soggetto dipendente dal cibo che tenta di placare la sua fame (non soltanto di cibo) senza fine – e quindi perennemente insoddisfatta – mediante l’ingestione vorace di enormi quantità di cibo (anche crudo e surgelato), che vomita subito dopo, anche più volte al giorno.

Differenza fra bulimia e anoressia

Se nell’anoressia la variazione ponderale è manifesta, la bulimia, da questo punto di vista è più subdola in quanto il soggetto è, tendenzialmente, normopeso o leggermente sovrappeso o sottopeso e ciò fa sì che il sintomo riesca ad essere tenuto nascosto per molto tempo (anche a familiari e amici) e vissuto in totale solitudine per il senso di vergogna e di colpa.

Tratti in comune fra anoressia e bulimia

Il tratto che entrambi questi disturbi hanno in comune è l’influenza che le forme e il peso corporeo hanno sull’autostima del soggetto e il pensiero che costantemente viene rivolto al cibo.
Se nell’anoressia incontriamo il rifiuto di “tutto e tutti”, nella bulimia incontriamo l’ingurgitamento di “tutto e tutti”.

Cos’è la bulimia nervosa

Nella bulimia, come nella anoressia, al centro della vita del soggetto c’è il controllo del peso corporeo e la ricerca di un ideale di magrezza. La differenza consiste nel fatto che, in questo caso, il controllo viene meno e si manifesta una crisi bulimica come un fenomeno dirompente e non contrastabile. Il soggetto, pur percependo il proprio comportamento come atipico, non riesce a sottrarsi da ciò, dal momento che questo comportamento è proprio ciò che gli permette di far fronte a forti emozioni e a vissuti di vuoto profondo e di perdita.

L’assunzione esagerata di cibo e la costante induzione del vomito – pratica molto dolorosa e, a lungo andare, estenuante – che ne segue possono compromettere seriamente le funzioni vitali e, nei casi più gravi, possono portare il soggetto alla morte.

Quali sono i sintomi della bulimia

In base al DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), redatto dall’American Psychiatric Association la bulimia nervosa è caratterizzata da:

A. Ricorrenti di abbuffate, ovvero mangiare, in un periodo di tempo circoscritto, una quantità di cibo che è indiscutibilmente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo in circostanze simili, attività accompagnata da un senso di mancanza di controllo durante l’episodio.
B. Ricorrenti comportamenti compensatori volti a prevenire l’aumento di peso (vomito autoindotto, uso e abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo)
C. Le abbuffate compulsive e le condotte compensatorie avvengono in media almeno una volta a settimana per tre mesi.
D. La valutazione di sé è inappropriatamente influenzata dalla forma e dal peso corporei.
E. Il disturbo non si manifesta solamente nel corso di episodi di anoressia nervosa.
In questo quadro vengono individuati due sottotipi: con condotte di eliminazione (vomito autoindotto, diuretici, lassativi) e senza condotte di eliminazione.

Bulimia nervosa: come si cura

I disturbi del comportamento alimentare possono essere superati. È possibile guarire dai disturbi alimentari, ma è necessario rivolgersi ad uno specialista per valutare insieme la situazione e avviare un trattamento multidisciplinare (per ulteriori informazioni sulla multidisciplinarietà mi permetto di rimandare al mio Mini Books “L’importanza dell’equipe terapeutica multidisciplinare nel trattamento dei DCA”).

L’approccio clinico che incontrerai nelle nostre sedute è di tipo psicoanalitico lacaniano. Cosa significa di preciso? Significa che il principio basilare che orienta la mia pratica analitica è l’attenzione a quel che il paziente dice, al testo del paziente. Il colloquio psicoanalitico è caratterizzato dall’ascolto in quanto al centro vi è la parola del soggetto e non il sapere dello specialista che eclissa il discorso del paziente. Durante le sedute sono interessata a cogliere il senso singolare che ciascun paziente attribuisce ai suoi sintomi per poterlo aiutare. Pongo al centro l’ascolto per valorizzare la parola del soggetto e la posizione dalla quale questi dice ciò che dice.

 

Approfondimenti

Per avere ulteriori informazioni su questo tema è possibile consultare diversi articoli cliccando il bottone

 

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